TEMPORALITÀ E COMPLICITÀPOST-UMANEIN ALL THAT CHANGES YOU.METAMORPHOSISDALLA FANTASCIENZA ALLAFABULAZIONE SPECULATIVA
LORENZO GIUSTI, CURATORE
Lauren Olamina, la giovane protagonista di Parable of the Sower (1993), romanzo maturo della scrittrice di fantascien za Octavia E. Butler (1947-2006), è un’adolescente visionaria capace di fondare una nuova religione - centrata sull’idea che “Dio è Cambiamento” - per salvare una Terra devastata dal collasso climatico, dal crollo delle strutture sociali, dalla vio lenza sistemica e dalla perdita di senso e di futuro. A questa figura si ispira Lilith, la co-protagonista di All That Changes You. Metamorphosis, interpretata da Sheila Atim.
Il nome di Lilith rimanda a un altro romanzo di Butler - Dawn (1987), il primo della Trilogia della Xenogenesi - la cui protagonista, Lilith Iyapo, è una donna nera sopravvissuta alla guerra nucleare, tratta in salvo, insieme a pochi altri umani, da una specie aliena. Anche in questo caso ci troviamo in un mondo post-apocalittico, ma la salvezza non viene qui da una nuova fede terrestre, bensì da una specie aliena, gli Oankali, che offrono agli umani la sopravvivenza in cambio di una contaminazione genetica: il futuro sarà ibrido, o non sarà affatto.
Nel film di Julien, le figure di Lauren e Lilith Iyapo si fondono e si riscrivono in chiave speculativa e poetica. In un mondo che brucia, la salvezza è affidata alla capacità di ogni essere di adattarsi, di prendersi cura, di trasformarsi. La Lilith di Julien, in particolare, sembra incarnare l’ambivalenza della metamorfosi: è adattamento, ma anche perdita; è sopravvivenza, ma al prezzo della trasformazione dell’identità, della specie, del genere. «Non riesco a ricordare com’era. L’innocenza del mondo prima della contaminazione…», dice Lilith in apertura, evocando quella nostalgia per “l’umano” rigidamente inteso che i romanzi di Butler hanno spesso messo in discussione. L’innocenza è una costruzione, una finzione. Ogni origine è già ibrida.Imago, l’ultimo capitolo della trilogia di Butler, racconta la storia di Jodahs, un ibrido mutaforma in grado di curare attraverso il contatto. Jodahs è la creatura metamorfica per eccellenza, “neither male nor female, neither human nor alien”. Quella sulla possibile realtà evolutiva della specie umana è una traiettoria speculativa che irradia l’intera nuova opera di Julien, nella quale la metamorfosi si presenta come un oltre: oltre il genere, oltre la specie, oltre la temporalità lineare. Come dice Naomi, l’alter ego bianco di Lilith, in uno dei passaggi centrali: «Non siamo in controllo. Nemmeno di noi stessi. Ogni cosa è nel flusso, inclusa la nostra capacità di sopravvivere. Forse il nostro compito è diventare capaci di rispondere.»
Interpretato da Gwendoline Christie, il personaggio di Naomi si ispira liberamente alla figura di Mary, scienziata e viaggiatrice interstellare protagonista del romanzo Memoirs of a Spacewoman (1962) di Naomi Mitchison (1897-1999). Se Lilith è una voce sapienziale post-umana, erede della contaminazione e della sopravvivenza condivisa, Naomi emerge nel dialogo come un’entità più terrestre e meditativa. La sua è la prospettiva dell’umano che ha conosciuto il dolore della perdita, il disorientamento dell’eredità, e che si confronta con il tempo come flusso continuo e instabile.
Naomi non è una viaggiatrice eroica, ma una testimone sensibile del cambiamento: osserva, registra, sente. Il suo viaggio nello spazio-tempo è soprattutto un viaggio interiore, fatto di apprendimento, ascolto e trasformazione attraverso il contatto con l’alterità. Il riferimento a Mitchison è cruciale perché restituisce al lavoro di Julien una voce femminista, empatica, relazionale, in cui la scienza non è dominio o controllo, ma cura, responsabilità, linguaggio condiviso.
In Memoirs of a Spacewoman, Mary comunica con creature extraterrestri usando empatia e rispetto. Mitchison immagina un mondo in cui le frontiere del sé non sono confini da difendere, ma territori porosi da attraversare. I personaggi di Lilith e Naomi sembrano raccogliere questa eredità: in loro si riconosce il desiderio di imparare dai viventi, di diventare capaci di risposta, di abitare il tempo come responsabilità condivisa.
Naomi porta dentro di sé il ricordo della madre scomparsa, una scienziata anch’essa, un’assenza che plasma la sua consapevolezza. È una discendente, una figlia dell’esplorazione e della memoria. Mentre Lilith sembra provenire da un futuro già ibrido, Naomi è ancora in divenire: si muove tra i frammenti della storia per ricucire un’etica della metamorfosi. Nel dialogo con Lilith, incarna la tensione tra ciò che è stato e ciò che sta diventando, tra la malinconia per la perdita e la lucidità di chi riconosce nel cambiamento la sola costante del vivente.
«Ogni momento porta con sé una metamorfosi», afferma Naomi, e in questa frase si concentra la sua visione: non catastrofe, ma flusso. Come la scienziata di Mitchison, è una coscienza permeabile, porosa, che attraversa lo spazio-tempo non per dominarlo ma per comprenderlo, nella vulnerabilità e nell’empatia.
STARE NEL PROBLEMA
Il dialogo tra Lilith e Naomi lascia intendere che non c’è più tempo per aspettare salvezze trascendenti o restaurazioni di un passato perduto. Con Butler e Mitchison, Julien suggerisce che la sopravvivenza si costruisce nel presente, nel rischio, nella negoziazione tra alterità. Come in Parable di Butler, essa è anche un atto profetico, visionario: immaginare un’altra comunità, un altro mondo possibile. Dove l’identità è fluida, la relazione è centrale, e la metamorfosi è l’unica forma di salvezza. Come direbbe Donna Haraway (1944), è una questione di co-esistenza, di “divenire con”.
La presenza di Haraway nell’incipit del film segna una fondamentale soglia teorica e immaginativa. La sua voce inaugura All That Changes You con una riflessione che è insieme dichiarazione d’intenti e mappa interpretativa: “Trouble is an interesting word. It derives from a 13th century French verb meaning to stir up, to make cloudy, to disturb”. Le sue parole aprono uno spazio in cui la metamorfosi non è solo tematica o estetica, ma pratica epistemologica e posizione etica. Leggendo passi da Staying with the Trouble (2016), Haraway invita a restare nel presente disturbato, rinunciando alla seduzione del futuro salvifico, così come alla nostalgia di un passato perduto. È un’esortazione a vivere nel mezzo, nel torbido, nell’incompiuto.
La scelta di far emergere Haraway all’inizio del film, prima ancora dell’apparizione delle due protagoniste Lilith e Naomi, non è solo un omaggio ma un’incardinatura: è la genealogia vivente di un pensiero che ha rivoluzionato il modo in cui immaginiamo il rapporto tra specie, corpi, tecnologie e narrazioni. Non è un caso che Octavia Butler sia anche una delle principali fonti d’ispirazione per la stessa Haraway, che la cita come figura chiave nella sua idea di “speculative fabulation”: una narrazione teorica che non costruisce sistemi chiusi, ma immagina possibilità trasformative in tempi di crisi.
Dalla pubblicazione del Cyborg Manifesto (1985), Haraway ha messo in discussione le dicotomie fondamentali del pensiero occidentale classico – umano/non-umano, natura/cultura, maschile/femminile, organico/macchinico – proponendo una visione ibrida, interconnessa, situata. Il suo pensiero si muove come un rizoma, attraversando biologia evoluzionistica, informatica, filosofia femminista, scienza e fantascienza, in una tensione continua tra analisi critica e immaginazione speculativa. Haraway non propone soluzioni, ma modi per restare, per imparare a rispondere in modo situato, incarnato, responsivo.
Nel film, la sua lezione si declina come etica della co-esistenza multispecie. Le parole “mortal critters entwined in myriad unfinished configurations of places, times, matters, meanings” risuonano come un refrain poetico che attraversa tutte le sequenze successive. Naomi e Lilith ne sono le eredi: una nell’apprendimento empatico e trasformativo, l’altra nella sapienza dell’ibrido e del trauma. Ma è Haraway ad aprire il passaggio: non una dea, non una guida, ma una compagna di pensiero, che abita con lucidità e ironia le complessità del presente.
La sua posizione è anche profondamente politica: Staying with the Trouble è una critica feroce alle logiche della salvezza, della purificazione, del progresso lineare. Invece di immaginare un futuro perfetto, Haraway invita a intessere relazioni nel presente, a costruire parentele improbabili, a pensare la sopravvivenza come pratica collettiva di cura e trasformazione. Il suo pensiero ha influenzato profondamente non solo la teoria contemporanea, ma anche le arti visive, l’architettura, l’ecologia, aprendo nuovi spazi di immaginazione e responsabilità.
Se Donna Haraway è la cornice che inquadra la struttura speculativa del film di Julien, il dialogo tra Lilith e Naomi si apre su una costellazione più ampia di pensiero: quella che ruota attorno alla “Scuola di Santa Cruz”, un crocevia teorico e critico in cui si sono articolate alcune delle riflessioni più radicali del postumanesimo contemporaneo. Questo orizzonte intellettuale non è un paradigma unitario, ma un ecosistema di idee, alimentato da figure centrali come Anna Tsing, Karen Barad e Carla Freccero. Non è un caso che Isaac Julien e Mark Nash, co-autori dello script del film All that Changes You. Metamorphosis insieme a Vladimir Seput, insegnino entrambi presso l’Università della California, Santa Cruz: l’universo teorico che emerge dalla loro opera si radica nella stessa rete di relazioni, affinità e pratiche speculative che caratterizzano questo ambiente accademico e creativo.
Nel lavoro di Anna Tsing, The Mushroom at the End of the World (2015), la possibilità di sopravvivere nel mondo devastato dal capitalismo prende la forma di assemblaggi multispecie: storie di coesistenza precaria, dove la rovina diventa spazio di collaborazione e adattamento. Come Lilith, Tsing parla di un mondo contaminato, dove il futuro si costruisce con ciò che resta. Karen Barad, con la nozione di intra-azione, rompe i confini tra soggetti e oggetti, affermando che ogni realtà emerge da relazioni materiali e concettuali in continuo mutamento (Cfr. Meeting the Universe Halfway: Quantum Physics and the Entanglement of Matter and Meaning, 2007). Carla Freccero, a sua volta, ha articolato una riflessione sulla memoria, la specie e l’identità che mette in crisi le narrazioni lineari del tempo e del soggetto. Nelle sue letture queer e postumane, la sopravvivenza assume una forma spettrale, una chiamata etica a riconoscere ciò che persiste, anche se marginale, animale, disperso (Cfr. Queer/Early/Modern, Duke University Press, 2006).
Il film di Julien attiva una rete di concetti, affetti e alleanze teoriche. Le metamorfosi che si intrecciano nel film – biologiche, cognitive, politiche – sono atti di sopravvivenza condivisa, forme speculative di cura e immaginazione che nascono nel cuore stesso di quella genealogia situata che ha trovato proprio a Santa Cruz una delle sue espressioni più feconde.
SPAZI NARRANTI
In All That Changes You. Metamorphosis, le architetture non sono meri sfondi scenografici, ma veri e propri agenti simbolici e drammaturgici. Ogni ambiente attraversato dalle protagoniste possiede una propria identità temporale, affettiva e sensoriale, contribuendo alla costruzione di una visione del mondo in cui l’architettura partecipa alla metamorfosi. Le ambientazioni funzionano come corpi sensibili, portatori di memoria e possibilità, e il loro attraversamento segna una continua transizione tra stati dell’essere.
Palazzo Te, in particolare, si presenta come un vero e proprio co-protagonista dell’opera, al pari di Lilith e Naomi che lo abitano. Un po’ come l’astronave organica di Lilith lyapo nel romanzo di Butler. Una presenza attiva e dialogante che incarna e amplifica il tema della metamorfosi. Costruita tra il 1525 e il 1535 da Giulio Romano, allievo e collaboratore di Raffaello, la villa suburbana fu voluta da Federico II Gonzaga come luogo della sperimentazione estetica. Il suo stesso disegno sfida le regole del classicismo rinascimentale: giochi prospettici, deformazioni proporzionali, affreschi carichi di ambiguità e allusioni mitologiche fanno del palazzo un esercizio di messa in crisi della norma visiva e simbolica. È in questo spazio eccentricamente manierista che Julien ambienta alcune delle sequenze più intense del film.
Fulcro della narrazione visiva è la celebre Sala dei Giganti, un ambiente circolare in cui le pareti e la volta sono interamente affrescate con la rappresentazione apocalittica della caduta dei Titani, abbattuti dalla furia di Giove. La tecnica illusionistica del “tutto dipinto” coinvolge lo spettatore in una spirale vertiginosa di distruzione e metamorfosi: i corpi si deformano, gli spazi crollano, le scale prospettiche si dissolvono. Julien cattura questa energia visiva e la reinterpreta come metafora del crollo dell’umanesimo classico e del collasso della società contemporanea. È da qui, dal centro della crisi, che parte la navicella spaziale che porterà le nostre viaggiatrici in un altro spazio e in un altro tempo più fluidi. Palazzo Te incarna dunque allo stesso tempo il senso della crisi e la possibilità del rinnovamento.
Anche le altre sale del palazzo contribuiscono alla tessitura semantica del film. Nella Camera di Psiche, che racconta in sequenza la favola di Amore e Psiche, il tema della trasformazione attraverso l’amore e il dolore viene richiamato nella coreografia dei corpi. Nella Sala dei Cavalli, invece, le imponenti raffigurazioni dei destrieri sono destabilizzate dal movimento sinuoso delle protagoniste. Questi ambienti, pensati in origine per glorificare una visione maschile, militare e gerarchica del potere, sono riabitati da Julien con corpi femminili postumani, che ne scardinano l’iconografia dominante e ne risemantizzano l’apparato iconografico.
All that Changes You risveglia la memoria latente di Palazzo Te, ne attiva il potenziale simbolico e lo mette in dialogo con un presente disgregato e mutevole. Giulio Romano, architetto e pittore della distorsione e dell’eccesso, è interpretato da Julien come un antesignano della visione speculativa che attraversa il film. L’architettura diventa così spazio di alleanza estetico-filosofica, in cui la narrazione contemporanea può germogliare su un terreno storicamente carico, dando forma a una nuova genealogia visiva della metamorfosi.
Altre architetture, insieme a Palazzo Te, contribuiscono alla scrittura semantica del film di Julien, riverberando nel discorso generale attorno alla metamorfosi attraverso forme e linguaggi diversi. La Cosmic House di Charles Jencks (1939-2919) a Londra, per esempio, tempio postmoderno dell’allegoria architettonica, apre alla possibilità dell’ironia, della contaminazione tra diversi codici culturali, alla distorsione dei significati e al disorientamento simbolico. Diversamente, l’abitazione privata di Richard Found (1966) nel Costwolds, è una capsula di vetro che apre a una dimensione futuribile del cambiamento, dove la metamorfosi si fa trasparenza e sospensione. In questa architettura permeabile, immersa nella campagna inglese, Lilith e Naomi sembrano oscillare in una temporalità liquida. Il vetro diventa membrana sensoriale, soglia percettiva tra l’interno e l’esterno, tra umano e non umano.
Al contrario, il padiglione Herzog & de Meuron, costruito per la Kramlich Collection, rappresenta una convergenza di temporalità, un dispositivo che interroga la relazione tra immagine e corpo, tra proiezione e materia. In questo padiglione, le protagoniste non camminano più nello spazio, ma si muovono nel tempo dell’immagine, attraversando sequenze, apparizioni, dissolvenze.
A questi spazi puramente architettonici si aggiunge una quinta location: la capsula Apollo, progettata da Timothy Oulton, fatta atterrare in principio nel cuore di una foresta di redwoods - nei pressi di Santa Cruz (ndr) - e successivamente, in chiusura del film, al centro della Sala dei Giganti di Palazzo Te. Clonata sulla scala della storica navicella spaziale Apollo 11 e rivestita in acciaio lucido, questa struttura ibrida - tra il corpo-feticcio e la lounge sofistica - crea un cortocircuito perturbante: un oggetto iper-artificiale, riflessivo e chiuso su sé stesso, incastonato in un ecosistema organico tanto monumentale quanto fragile. Così presentata, la capsula non evoca più l’epopea della conquista spaziale, ma si trasforma in una camera interiore, una soglia esistenziale, un luogo in cui la soggettività umana si confronta con la propria dissonanza ecologica.
In All That Changes You, ogni spazio è dunque un corpo narrante. Julien costruisce un percorso che non segue una logica lineare, ma una coreografia temporale in cui i luoghi stessi si trasformano (o trasformano chi li attraversa). Le protagoniste non sono più semplicemente personaggi, ma sensori mobili di un mondo in mutazione, che si specchia negli edifici, nelle foreste, nei dispositivi.