WITH LOVE AND RAGE.NOTE SULLE RAGIONI DI UNACOMMITTENZA

STEFANO BAIA CURIONI, DIRETTORE FONDAZIONE PALAZZO TE

Perché Isaac Julien a Palazzo Te? La risposta apparentemente è facile: uno dei più importanti artisti del mondo ha deciso di produrre il suo più recente lavoro ispirandosi alle architetture e agli affreschi di uno dei capolavori del tardo rinascimento italiano. Un onore per il palazzo e la Fondazione che lo gestisce, una sfida alta per l’artista. In realtà la decisione di commissionare e produrre una nuova opera a Sir Isaac Julien non è stata davvero “presa” con un ragionamento comparativo e a priori. È piuttosto “arrivata”, in modo naturale, come conseguenza, o forse ancora meglio come addensamento, di una molteplicità di condizioni e opportunità.

LA I RAGIONE

La prima condizione è stato il Cinquecentenario di Palazzo Te e la sensazione si potesse tornare a interrogare l’arte contemporanea, a sette anni di distanza dalla straordinaria esperienza svolta con Gerhard Richter e le annunciazioni di Tiziano.Già su questo punto occorre soffermarsi un momento per evitare malintesi. Ogni volta che si entra in rapporto con un’opera d’arte si accetta la possibilità di un’irruzione capace di modificare il nostro presente. Ogni volta e con qualunque opera. I quadri di Tiziano o Rubens non sono meno “attuali” di quelli di Picasso o delle immagini filmiche di Isaac Julien. Chiedono un percorso di mediazione diverso, se vogliamo uno sguardo differente, ma non si situano su un piano sostanzialmente diverso di conoscenza ed esperienza.

Dalla ripresa delle attività dopo il covid, nell’autunno del 2021, in accordo con il comitato scientifico si è deciso di avviare un lavoro di ricerca mirato ad esplorare alcuni tra i principali livelli di lettura imbricati nei complessi apparati decorativi del palazzo.

Il Te è diventato così, negli ultimi anni, il palazzo di Afrodite, che raccoglie il rapporto contradditorio tra desiderio e conoscenza 1, il palazzo delle Meraviglie in cui si sprigiona il senso del magico cinquecentesco 2, il palazzo del potere e dell’imperatore, che ospita l’archè del sogno europeo 3; e infine il palazzo della metamorfosi, il Palazzo del Sole di Ovidio, che rilancia la speranza di una redenzione umanistica e laica del mondo 4.

LA II E LA III RAGIONE

Su questo ultimo tema si è declinato il Cinquecentenario, a partire dalla primavera del 2025.

Claudia Cieri Via, ancora una volta, ci ha portato nel Cinquecento con una carrellata di trenta opere, alcune delle quali originariamente commissionate dal Gonzaga, si dice per il Te, per mostrare il tessuto di consonanze che lega il palazzo con il contesto pittorico di quegli anni, un contesto fortemente animato dalla narrazione delle metamorfosi.

Il Cinquecentenario sarebbe poi approdato al contemporaneo; per mostrare in modo ancora più chiaro il potere della simultaneità dei temi e delle forme. E per suggerire l’idea chiave che il patrimonio culturale può e deve diventare mezzo di ispirazione, di visionarietà, di trasformazione attiva e positiva.

È a quel punto che, più di due anni fa, ho avviato una conversazione con Lorenzo Giusti, direttore della Gamec, conosciuto nel lavoro svolto tra 2021 e 2022 per Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura. Ha preso forma in questo scambio la seconda condizione che ha determinato la scelta dell’attuale produzione contemporanea.

Lorenzo Giusti, dopo lunghe conversazioni e visite a Mantova ha proposto Isaac Julien, importante video artista inglese, che non ha mai avuto una mostra personale in Italia, la cui estetica poteva bene adattarsi ad un luogo come le Fruttiere del Te, che sarebbero state inaugurate per l’occasione dopo sette anni di chiusura.

Il primo avvicinamento, per me, è stato quindi orientato da una consonanza dialogica con Lorenzo Giusti e dall’intuizione che ci fosse una evidente coerenza estetica tra i lavori di Isaac – in particolare Statues Never Die e i messaggi del palazzo. Una intuizione che si è confermata a fine luglio 2023 nel pomeriggio di visita alla Tate Britain che aveva dedicato un importante mostra monografica sui lavori dell’artista. Nel frattempo, terza condizione, contattato l’artista per il tramite cortese di Marc Spiegler, abbiamo avuto il primo sopraluogo al Te durante il quale è emersa l’ipotesi, fin dall’inizio caldeggiata da Lorenzo Giusti, di non organizzare una mostra personale, ma di produrre una nuova opera, realizzata pensando a Palazzo Te, al tema della metamorfosi, e girata a palazzo.

Una proposta che Isaac Julien ha immaginato con Mark Nash al termine di una giornata durante la quale il fascino di Giulio Romano aveva evidentemente inciso sulla fantasia poetica dell’artista inglese. Era esattamente quel che avrei sperato potesse accadere.

L’incontro con il palazzo stimolava una nuova opera d’arte.Nel 2024 con la partecipazione di Isaac Julien al convegno mantovano sulle Metamorfosi in dialogo con Lorenzo Giusti e Giuliana Bruno e poi con una visita nostra al suo studio di Londra si è chiuso il patto definitivamente, mentre prendeva forma il mood board del lavoro e altri sostegni prendevano forma come quello prezioso di Robert Rosenkranz.

LA IV RAGIONE

A fine Gennaio 2025 Lorenzo Giusti ed io abbiamo raggiunto Isaac e Marc a Santa Cruz e San Francisco. Marc e Isaac, entrambi docenti all’Università di California Santa Cruz, sono entrati negli anni a stretto contatto con Donna Haraway, l’ambiente degli antropologi vicini ad Anna Tsing e con gruppo dei fondatori del Centro per la Storia della Coscienza composto da figure come Carla Freccero, James Clifford e Angela Davis. È in questo ambiente che ha preso forma il nucleo tematico del film, descritto e commentato qui dal bel testo di Lorenzo Giusti, ed è a Santa Cruz che con Lorenzo siamo stati invitati per un giro di interviste e di pensieri.

È stata davvero un’occasione unica, che ci ha consentito di incontrare per un intero pomeriggio Donna Haraway e diversi altri componenti della facoltà, confermando e delucidando le ragioni profonde dell’affinità che aveva guidato la collaborazione fino a quel momento.

Donna Haraway è arrivata a casa di Isaac puntualissima, poco dopo pranzo, accolta con grande cordialità. Ci siamo seduti attorno al grande tavolo da pranzo ed è immediatamente scattata una conversazione a partire dal racconto di Palazzo Te e, a seguire, sull’opera di Isaac Julien.

Donna ha mostrato una presenza cordiale e asciutta, militante e gentile. Molto diretta nel dire. Molto veloce nel pensare. Durante la conversazione abbiamo preso degli appunti da cui è oggi possibile estrarre alcuni passaggi fondamentali.Appena seduta Donna ha guardato Isaac e con occhi accesi e affettuosi e, con una voce che si abbassava appena, gli ha detto, dritta dritta, che la ragione per cui lei era seduta con noi era perché il lavoro di Isaac è fatto di Amore e Rabbia, Love and Rage, come deve essere quello di chi risponde a una necessità.Ci siamo, ho pensato.Poi è stato come un torrente. Che provo a riassumere per punti e appunti (in calce gli appunti in inglese). Queste le idee principali:La prima è l’urgenza, in un certo senso apocalittica, che chiama l’azione: il venirci incontro accelerato dell’estinzione, della morte, ma non solo della morte individuale… l’ombra specifica dell’estinzione della specie 5.Davanti a questo il lavoro, il compito, è durare, stare, in faccia alla caduta, alle rovine. Non è costruire un’utopia, anche se l’utopia può essere utile come strumento narrativo.Il Lavoro è: rifiutare il cinismo, letteralmente to refuse cynicism.

Per questo, diceva la Haraway, è fondamentale lavorare insieme e soprattutto insieme agli artisti e ai musicisti. E non negare il mostruoso. E non restare vittime del terrore, del terrore dell’estinzione, della fine. Non restare vittime della stupidità del terrore.

Ma su cosa si può fondare la capacità di rifiutare davvero il cinismo, anche come compito educativo? Mi scappa di domandare...La risposta può essere solo personale, riprende lei, e sta nella cruda generatività di ciò che esiste, e nell’opportunismo proprio della vita. La scabrosità primitiva dell’esserci, e la durata del “fare mondi”, includendo in questo anche i processi biologici. Non siamo separati da tutto ciò, siamo composti di questo e in questo. Un mondo pieno di ogni modo di vivere e di morire 6.

E continuava: “È quello che, con alcuni pochi amici, concettualizziamo come ‘sympoiesis’, il fare assieme, che non è autopoiesis, non è fare da soli, anche se in modo sofisticato 7. In una parola: eco-evo-divo… che raccoglie la metamorfosi continua dei corpi individuali, che è la vita, la collaborazione e l’interazione che compone l’habitat di ciascuno, sia esseri viventi che inanimati, chiamatela ecologia, in tutte le differenti dimensioni temporali in cui la sua durata si manifesta, chiamatela evoluzione. In realtà la prospettiva offerta dal termine eco-devo-divo esprime l’essere qui. È il mio ‘io sono’ il mio essere questo momento, nel modo più profondo, il più risoluto coesistere di paradiso e inferno8.

“Lei parla di un modo di essere presenti vero?”Assolutamente! È un modo della presenza, il riconoscimento della presenza in quanto genesi, in quanto creazione9.E questa presenza può essere definita ‘poetica’”?Si potrebbe anche definire così. Ma io sono una nominalista di vecchio stampo. Con Anselmo… proprio così. Ho imparato a scuola, fin da piccola, che nel momento in cui tu nomini una cosa in questo modo commetti idolatria. Quando nomini una cosa che è e credi nel nome che le hai dato, questa è la definizione di idolatria. Ovviamente abbiamo bisogno di nomi e di teorie, ma questa cosa, questa ‘presenza’, è innominabile in senso strettamente teologico, nel senso nominalista della non nominabilità di Dio. Nel momento in cui gli dai nome sei finito. E qualcosa di molto vicino ad altre esperienze religiose. Certamente ad esempio a quella buddista. Ed è qualcosa che può essere testimoniato nel presente: le opere d’arte, la musica, l’analisi, accarezzare i cani. È comunicabile. Ed è infettiva. Penso sia infettiva, viviamo in un mondo di infezioni. Ed è una cosa buona anche se probabilmente un giorno ci ucciderà” 10.

E concludeva:Il fatto stesso che noi siamo qui, la nostra presenza, è basata, come una premessa, sull’infezione. È la co-costituzione che definisce la sympoiesis. Diventare assieme con e per ciascuno di tutti gli altri. Molti di noi si stanno muovendo in questa direzione, che ci porta a essere chi siamo. E che in un certo senso ci offre speranza, perché attiva, energizza e ti fa alzare dal letto la mattina con un senso di gioia. È difficile provare gioia in altri modi. La nostra tentazione più profonda è il nichilismo. E in questi giorni ancora di più. Il nichilismo dell’anima e lo scetticismo del cuore” 11.

E poi si tacque e ci guardò diritta. La conversazione era finita.La scelta si era illimpidita. Anche perché, evidentemente, tutto portava al cuore di quanto si è prodotto e immaginato a Palazzo Te in questi anni: rifiutare il cinismo, stare nel mutamento, divergere lo sguardo dall’attrazione nihilista, provare a rendere il patrimonio culturale occasione per un atto di creatività.

Isaac, quasi tra sé e sé intanto mormorava “girerò un film su cittadini delle galassie”…Con amore e rabbia ho pensato, anzi no, sperato… e a Palazzo Te e, insieme, in tanti altri posti del mondo.Penso ci si possa fermare qui, il resto, con gratitudine, è da vedere.

1
Il primo episodio si è concretizzato nella mostra Venere. Natura, Ombra e Bellezza, curata da Claudia Cieri Via con Francesca Cappelletti che ha raccolto una serie di capolavori tramite i quali si sono esplorate le diverse dimensioni di una dea e di un ciclo mitologico centrale per la comprensione del palazzo. Afrodite/Venere, dea della bellezza che nasce dall’armonia, da una pacificazione tra cielo e terra, è apparsa come l’occasione di ritualizzare una possibile ripresa dopo la pandemia e soprattutto per cesellare un percorso scientificamente accurato sulle 27 Veneri presenti nei decori del palazzo. Venere/Afrodite Urania, Venere/Afrodite Pandemos, in tutte le loro diverse declinazioni: spinaria, dolphinaria, irata, scatenata di desiderio, scintillante di armonie, spaventata dalla violenza e dalla guerra. Venere di Eros e di Psiche, che consegna l’umano al gioco della visione e del desiderio. Il Palazzo Te si è così disegnato come luogo di Venere/Afrodite e dei suoi incanti.

2
Nella Primavera del 2022 si è avviato un anno dedicato al tema della Meraviglia, altra preziosa chiave di lettura di un palazzo che si presenta evidentemente con i tratti di una Wunderkammer o labirinto delle meraviglie, per le immagini che ospita e per lo sguardo che sollecita. Nella primavera, grazie alla maestria di Augusto Morari, ci siamo addentrati nella riscoperta delle pareti di cuoio (dette corami), argentate, dorate, coperte di simboli orientali, di nodi e di riferimenti naturalistici, che adornavano originariamente le pareti del Te. Si è così prodotta la mostra Le pareti delle Meraviglie cui è seguita in autunno la bella mostra di ricerca intitolata Giulio Romano. La forza delle Cose curata da Barbara Furlotti e Guido Rebecchini del Courtauld Institute of Art. Si è messa a fuoco la dimensione non solo fantasiosa e audace del design cinquecentesco e di Giulio Romano, ma anche le sue qualità più provocanti, che vanno nella direzione della magia, del controllo delle forze naturali, del sincretismo consentito dal neoplatonismo di quegli anni. Palazzo Te è apparso così come uno scrigno di meraviglie e di sapienza.

3
Nella primavera del 2023 si è aperto un terzo ciclo dedicato alla dimensione “internazionale” ed “europea” di Palazzo Te. In primo luogo, con una concisa esposizione sulla presenza dell’imperatore Carlo V nel 1530 e 1535: Palazzo Te si è disegnato come palazzo imperiale. Nell’autunno si è aperta una ricca esposizione, curata da Raffaella Morselli, dedicata alla presenza di Rubens a Mantova a partire dall’estate del 1600. L’incontro tra Rubens e il Giulio Romano di Palazzo Te ha prodotto non solo una scia di riprese, trasformazioni, rigenerazioni così come una risonanza più intima, umanistica, filosofica e religiosa, emotiva, che ha visto Rubens utilizzare l’ispirazione di Giulio per tentare una nuova saldatura simbolica e diplomatica tra cattolicesimo e protestantesimo, pacificazione che si faceva urgente per l’Impero nel precipitare dell’Europa verso la guerra dei Trent’anni. Rubens reinventa liberamente l’anima di Giulio. Il palazzo diventa crocevia dei destini d’Europa e portatore del messaggio di libertà (nella risonanza) che dell’Europa pare ciò che merita di essere difeso più di ogni altro.

4
Nel 2024 si è poi avviata una stagione di studi ed esposizioni sul tema centrale del Te quello delle Metamorfosi, che qui sono rappresentate in rilettura pittorica e architettonica del testo di Ovidio e di Apuleio. Il primo passaggio è stato dedicato ad un pittore che nel Novecento ha maggiormente incarnato una attitudine aperta alla trasformazione e alla metamorfosi, confrontandosi direttamente con Ovidio, ossia Pablo Picasso. Con la guida di Annie Cohen Solal, il supporto del Musée Picasso di Parigi e della stessa famiglia Picasso Kahnweiler, la mostra si è addentrata nella dimensione e nella scrittura poetica del pittore spagnolo, mostrando come la sorgente della sua pratica metamorfica possa essere letta a partire dal suo destino di migrante e refusée nella sua patria di elezione, per arrivare alla prorompente energia visiva e dionisiaca che gli impediva di “restare” , di concettualizzare staticamente le cose davanti all’evidenza di una trasformazione continua del reale e del visivo. Palazzo Te è diventato così il palazzo delle metamorfosi.

5
The onrushing of death, the onrushing of extinction, not just death, the specificities of extinction.

6
“But not only. It’s just the raw thereness and ongoingness of worlding, including in its biological formats. And we’re not above that or separate from it. We are of it and in it. And it’s full of living and dying of all kinds.

7
And the conceptual apparatus that I and a few other friends are calling sympoiesis, that making with, that poiesis that is wielding, that sympoiesis that is not autopoiesis, is not self-making, even in its most sophisticated forms.”

8
“It’s one word, eco-evo-divo. So that the ongoing metamorphoses of individual bodies, which are lifelong matters, not limited to periods of embryonic development or whatever, but it’s what living is about, this kind of ongoing metamorphosis of being alive at all, call that development. And in and with others who make each other’s habitats, for each other, both living and non-living players, call that ecology, in the many different temporal scales through which this ongoingness happens, call that evolution if you want, but that eco-evo-devo perspective, which for me is what being here is. It’s my I am, who am moment. It’s a profound kind of; it is a resolute kind of heaven earth.”

9
Absolutely, it’s a mode of presence. It is a recognition of presencing as a generated.

10
You can parse it these ways. Look, I’m a nominalist of the old-fashioned type. Back there with Anselm and all. Yeah, there you got it. No, more seriously. I learned a long time ago when I was a high school kid and have held on to this, that the minute you name something like that, you’re committing an act of idolatry. The minute you give a name to what is and believe in your name, it is the definition of idolatry. So, of course we need names and we need systems and we need theory, all sorts of things… but that’s not. It is unnameable in the strict theological sense. That Christian nominalist unnameability of God. As a minute you name it, you’re done.
And that’s, I think, that it’s very closely akin to many other kinds of religious experience. Certainly, much of Buddhist experience seems similar to that, It’s teachable, yeah. It’s presenceable. Presenceable. Works of art, music, analysis, petting your dogs. Yeah, I do think it’s actually trainable to a degree, but I think it’s communicable, it’s infectious. I do think it’s infectious. We live in a world of infection. And a good thing, too. Even though it will kill us in the end. Actually, probably will before we get to the end.

11
I think there are many of us who are yearning, in bel hook’s sense, yearning towards something like this, lured toward this way of coming into who we are. And does that give me a certain amount of hope?
It does, actually, because I think it energizes and activates and gets you out of bed in the morning with some sense of joy. Assuming your dog is there greeting you. Otherwise, the joy is a little harder to get.
nihilism is the constant temptation. And these days more than that. Nihilism of the soul and skepticism of the heart.

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